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Personaggi / paesaggio

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Al primo impatto, potrebbe sembrare che l’immagine sia stata concepita come se non bastasse a se stessa. Se ogni frammento del dittico (o del trittico) si accorda col pannello complementare, l’accordo, spesso, avviene per discordanze, vuoti, non detti, arresti, ellissi, falsi raccordi. Cambi di focale, dal ravvicinato al campo lungo, dal quasi a fuoco al quasi sfocato. Da un quadro all’altro, il legame sembra più effetto di montaggio cinematografico che non di una situazione puramente pittorica. In quanto alle raffigurazioni, sono assolutamente riconoscibili : un uomo, una donna, uno scenario. Sono nudi, tanto i protagonisti quanto lo scenario. Di che rappresentare all’infinito la scena di Adamo ed Eva, non fosse per le donne, molteplici, e l’uomo (per ora ?), unico. Elementi di una composizione pittorica, eppure non si tratta di pittura. Personaggi e luoghi canonici, eppure non si tratta, evidentemente, né di fiaba, né di allegoria, né di metafora.

Elio Tisi, lui, rivendica volentieri un’appartenenza allo spirito metafisico nel senso in cui l’intendevano Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis o Carlo Carrà nel 1915. Un universo di silenzio ed enigma con quanto basta di mistero intorno alla creazione. Se la semplificazione del mondo architettonico è chiaramente presente, col vuoto così caratteristico che accompagna l’atmosfera del primo mattino o della notte incipiente, manca pero’ il senso di sfasatura, simbolista per autonomasia, che pervadeva l’arte di Giorgio de Chirico e dei suoi epigoni. Il mondo che percepiamo è il nostro, ma qualcosa di appena sfasato ce lo rende quasi incomprensibile. Che sia il colore, mai quello giusto rispetto ad un’ipotesi di proposta realista ? Che sia questo vuoto pesante che attornia le figura umane ? Che sia l’immobilità che dura e provoca una stasi del tempo, come una catalessi ? Non è il reale vissuto, non è il mondo onirico, non appartiene né al fiabesco né alla morale. Ma non è neppure indecisione o elaborazione di una struttura aperta. Nessun personaggio in cerca d’autore (o di autori), niente teatro aleatorio, nessuna storia di cui poter essere l’eroe. Elio Tisi non si aspetta che lo spettatore assuma un ruolo azionando forme vuote in attesa di un diventare.

Si potrebbe ipotizzare che questa narrazione minima, titolo delle serie attuali, sia una finzione scenica che non dipende né dall’artista plastico, né dallo spettatore. Una finzione il cui scopo non sia immaginare una finalità romanzesca, ma irrigare con un racconto sospeso un mondo altrettanto sospeso. Un’altra risposta potrebbe risiedere nella prevalenza del disegno sul colore, sempre spiccante e distribuito a zone ampie e semplici. Il disegno invece permea sia l’interstizio tra le figure ed il fondo, che tutto quel lavoro ossessivo (né pittura, né tratteggio) sviluppato nella lentezza e la ripetizione del gesto tecnico. Anche se luoghi e personaggi sono identificabili, non sono né una né l’altra individualità, non sono né questo né quel quartiere di Marsiglia. Sono diventati una concentrazione, quasi il condensato di una visione che si priva del dettaglio par puntare all’essenziale. Affermare che l’immagine attuale è svuotata del suo potere ancestrale di resuscitare la realtà. Affermare che c’è stato un transfert nelle relazioni dell’immagine, dal reale verso un mondo di perdita, di degrado ed usura dei dati figurativi, che la moltiplicazione dei dettagli, spesso, conduce al fittizio. Che l’immagine assoluta, l’icona, è costruita solo da alcune annotazioni brevi e decisive, che impongono senso ad una scrittura codificata.

Certo, Elio Tisi non impone mire iconografiche al suo lavoro, il vuoto vi è troppo importante per non sovrastare le cose rappresentate. Va aggiunto che si tratta di un vuoto luminoso, un non tempo e un non luogo. Parlando di Chardin, Alice Vincent-Villepreux scrive « Il vuoto diventa il potere di legame o di scioglimento della composizione. E l’io, centro vuoto da cui si irradiano gli oggetti, dà la possibilità alle cose di abitare il proprio sguardo », e aggiunge più avanti « E’ l’aria che circonda le cose che diventa il pieno dell’universo » (1). Lo spazio pittorico raggiunge quindi lo spazio, respingendo i limiti del disegno o della tela, fondendo senza discontinuità le separazioni tra pannello e pannello, unificando lo sguardo al di là degli urti e delle incidenze della rappresentazione. Forse occorre spingersi fino a sostenere che sia questo vuoto il vero soggetto di confronto per Elio Tisi, questo vuoto che abita le sue immagini ambivalenti in tutte le loro rappresentazioni, che ne determina l’iscrizione in tanti frammenti. Faglie nascoste, forse, del mondo delle immagini forti che si sottraggono ai continui contrappunti attuali. Una vita che fa delle « narrazioni minime » di Elio Tisi al contempo dei nudi, dei paesaggi, dei ritratti e delle nature morte, una pittura in rottura coi generi.

Un mondo che Pascal Quignard potrebbe sottolineare in un’eco : « C’è una vita di nascosto al mondo. E’ indipendente dalla parola che ‘’tiene insieme’’ gli uomini tra loro sotto forma di società. C’è una parte ‘’a prescindere da sé’’ dell’anima a cui corrisponde un linguaggio silenzioso » (2).

Come un silenzio assordante, aggiungeremo per concludere.

François Bazzoli
Storico dell'arte

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(1) Alice Vincent-Villepreux, « Ecritures de la Peintures », Presses universitaires de France, 1994.
(2) Pascal Quignard, « Petits traités », édition Maeght, 1990.

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Luoghi di leggerezza nostalgica

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La carta ha sempre goduto di un singolare potere evocativo tra le mani di artista perché sovente su di essa viene fissata la folgorazione di un gesto prossimo all‘idea che l'ha generato. Tale considerazione vale per qualunque tipo di carta che possa rispondere all‘urgenza espressiva del momento. Poi c'è invece quella che l'artista sceglie per un lavoro ben definito: qui entra in gioco un fattore di tattilità, di sensibilità percettiva, di opportunità esecutiva. Per Elio Tisi occorre chiamare in causa un ulteriore valore che Io distingue e Io identifica : egli usa da sempre per le sue raffinate composizioni i fogli usciti dalle cartiere di Fabriano dove è nato e a cui e rimasto strettamente legato anche per certe affinità culturali che emergono dalle sue opere. A tale proposito se osserviamo i tre dittici in mostra, intitolati 'Pensare il luogo', si nota immediatamente e direi quasi istintivamente come le linee essenziali del paesaggio ricordino strutturalmente quei capolavori di Giotto che si conservano nella vicina Assisi. E che sono rimbalzati fino a noi attraverso la rilettura metafisica di Giorgio de Chirico e di Carlo Carrà. Il clima è rimasto inalterato anche se le immagini offrono lo specchio timbrico e il contrasto formale di un nudo femminile. II risultato percettivo uniformante è dovuto all‘acrilico estremamente diluito che nei molteplici passaggi del pennellino raggiunge un effetto di “pixelizzazione” di cio che viene raffigurato. Afferma lo stesso Tisi: 'Grazie a questo procedimento le particelle microscopiche della pittura acrilica si dispongono automaticamente e in modo regolare su tutta la superficie”.

Nella triplice sequenza di 'Pensare il luogo' il realismo del nudo si fonde cromaticamente con l'architettura e il pensiero di ogni fanciulla si materializza in una idealizzata realtà che appartiene all'ordine dell‘armonia per cui quella ricerca dei contrasti emozionali perseguita in altre occasioni da Tisi si trasforma nell'attuale formulazione costruttiva in un dialettico, oltre che tonale, momento di incontro. È il suo caratteristico modo di impregnare e di impegnare la materia pittorica nella pagina che l'accoglie a fornire la particolarità del suo fare dove la mano e l‘intenzione corrono di pari passo a stendere i successivi strati narrativi che catturano a poco a poco lo sguardo e lo rendono complice di ciò che appare. Si tratta di un lento processo di seduzione che sembra ripercorrere i pazienti passaggi creativi dell'autore stesso. Per tale motivo le ritagliate figure nello spazio si sposano felicemente con le forme geometriche che attingono la loro essenza, al di là della linea di demarcazione, in un tempo privato di ogni misura umanamente concepibile. Tutto e sigillato negli occhi chiusi delle tre officianti il sacro rito dell‘appartenenza a un luogo ormai depositato nell‘anima. E il delicato transito cromatico delle scene regala a chi le contempla con spirito partecipe il silenzioso e magico profumo del sogno.

Un concetto parzialmente diverso sembra coinvolgere 'Marche di carta', un incontro di dodici lavori a formare un polittico di fughe gestuali e di attimi trattenuti sulla soglia della dissolvenza. Il clima non muta, cambia soltanto il modo di evocarlo. La distillata perfezione del segno, l'accurata indagine di una velatura carnosa da consegnare a un palpabile corpo o la reiterata ricerca di una struttura da affidare a un determinato ordine compositivo vengono sostituite ora dall‘impulso, dalla folgorazione, dal piacere di quella sorpresa che coglie Io stesso autore nel momento stesso della nascita dell‘evento allorché la mano sembra anticipare per un attimo il desiderio. in tal maniera la manifesta stupefazione di Tisi ci contamina e ci introduce immediatamente nel suo mondo. Questa volta ii racconto si snoda per appunti, per successive annotazioni che trovano legami ideali fra di loro al di là dell'ordine timbrico o costruttivo con cui questi appunti sono stati accostati gli uni agli altri. Un approccio informale, caratterizzato da ritmiche colature, accoglie immagini appena accennate, catturate nel loro divenire formativo oppure bloccate nell'attimo della rivelazione oppure ancora conservate in un contesto onirico che le rende preziose e misteriose ai nostri occhi. La carta ne assorbe la sostanza restituendoci il fantasma di un desiderio o ii profumo di una nostalgia che favorisce certe immersioni in un passato destinato alla pura beatitudine di attimi capaci di travalicare il loro ricordo. ln simili elaborazioni la liquida sequenza delle figure si consuma e si rinnova per gemmazioni successive di farfalle, di alberi, di pesci, di uccelli che esistono nel desiderio di chi li ha evocati dal profondo del cuore e di chi e in grado di accoglierli con la necessaria sensibilità. Al di là del titolo, qui tutto ci appartiene o ci è straniero nella misura in cui siamo in grado di entrare compiutamente in sintonia con chi ha creato queste visioni. Solo allora l'ape che si stacca dal fiore col suo carico di nettare sarà l‘ape che sì moltiplicava nei prati della nostra infanzia al pari degli uccelli da confondersi col verde mutevole dei boschi o dei miracoli che la nostra fervida immaginazione scopriva o disegnava nei cieli. Solo allora il “luogo” preziosamente conservato ed elargito con poetica leggerezza da Elio Tisi sarà anche nostro per sempre.

Luciano Caprile
Critico d'arte

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Galerie du Tableau

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Exposition - 05 Juin au 17 Juin 2017 à la Galerie du Tableau, Marseille.
L’exposition « Elio Tisi » à la galerie marseillaise du Tableau met en lumière le lien entre photographie et peinture chez l’artiste italien. A travers les images produites par les miroirs, elle ouvre une interrogation sur le statut de l’art et de l’artiste.

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L’exposition « Elio Tisi » à la galerie du Tableau, à Marseille, mêle photographie et peinture de l’artiste italien qui vit et travaille dans la cité phocéenne. L’accrochage souligne l’importance chez celui-ci des photographies et des dessins dans l’élaboration de la peinture.

Elio Tisi : une démarche picturale nourrie par la photographie.
La pratique picturale d’Elio Tisi repose sur un minutieux travail par étapes qui repose sur d’autres médiums : la photographie et le dessin. Les trois disciplines sont chez lui liées et le tableau, plus qu’un aboutissement, constitue la reprise d’un thème, à la manière des répons dans les chants liturgiques. Les tableaux d’Elio Tisi, s’ils sont l’issue de sa démarche, portent en eux les photographies et dessins mêlés qui ont été les éléments indispensables à leur création. Ils ne les effacent pas car chez Elio Tisi, les étapes sont aussi cruciales que la conclusion et constituent pour ainsi dire des œuvres en elles-mêmes. C’est pourquoi l’exposition présente quatre photographies en regard du portrait d’une photographie.

Les images en miroir d’Elio Tisi interrogent le statut de l’art.
De cette façon, les œuvres d’Elio Tisi réaniment le débat autant scientifique que philosophique sur le statut des images qui sont produites par des miroirs. Ces images ont-elles une existence propre ou ne sont-elles que des reflets, c’est à dire des semblances d’autres images ? Plus globalement, elles ouvrent un questionnement sur le statut de l’art. Le miroir est en effet le parfait symbole de la fiction et de l’imagination. Si l’art est la production d’images en miroir, d’illusions et de contrefaçons, l’artiste devient le rival de Dieu.

Paris Art
Magazine d'art

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Galerie Mund'Art

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Elio TISI « Minima ». Exposition à l’Espace GT–MundArt du 09.11 au 01.12.2017 dans le cadre du festival ‘’La Photographie Marseille #7’’.

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Les dernières œuvres d’Elio Tisi ont pour sujet le cadre urbain, la ville ou plutôt des bouts de ville, voire des bâtiments singuliers.

Depuis l’antiquité, la ville a été représentée comme servant de cadre à un sujet, sur la colonne Trajane par exemple. Dans la peinture gothique la cité est devenue le sujet lui-même : Ambrogio Lorenzetti, Jean Fouquet etc.

Les représentations d’Elio Tisi ont une particularité qui les rapproche des œuvres de Giorgio de Chirico ou la figuration humaine est quasiment absente. Chez Elio Tisi elle l’est totalement comme tout autre élément anecdotique qui permettrait une datation.

Ces représentations minimalistes sont intemporelles et non situées. Elles renvoient à une réflexion sur le temps et, plus loin, sur la condition humaine et sa vacuité. « Ce qui passe nous fait spectateur. Ce qui reste nous fait passant » (Alain, Emile-Auguste Chartier 1868-1951).

Ce qui nous fait ’’rester’’ devant l’œuvre c’est l’évidente qualité plastique. Ici le jeu de lumière et d’ombre privilégie les ombres géométriques. Ces compositions sont élaborées et rien n’est dû au hasard des prises de vue.

Là où on verrait une série de photos une œuvre peinte vient malicieusement se glisser.

Nom d’une pipe ! On aura compris que le vrai sujet d’Elio Tisi, le motif de l’œuvre, c’est d’abord la peinture.

Alain Gromelle
Architecte urbaniste

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Quando la figura mette il posto sulla porta, lei è sicuro è il suo ?

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Una donna. Un uomo. Uno scorcio di strada o una piazza. Due o tre colori. Ambientazione ocra in chiaroscuro ombreggiato e acido. Anche il rosa e il blu sono « verdi ». L’immagine fredda, dal sapore giallo, risultante da una sovrimpressione di disegno a inchiostro e infinitesimali tocchi d’acrilico fusi minuziosamente : al termine di un lento lavoro di sfumatura col pennello fine, appare definita (e non disegnata) ; è la reciproca attrazione della trama, la loro massa danzante immobile, che impone, qui, un’evidenza numerizzata. L’immagine sorge dalla vibrazione dei pixel e la vetrificazione che cattura i riflessi darebbe credito all’impressione di guardare uno schermo, se non vi fosse, all’opposto, il richiamo all’ordine pittorico attraverso indizi che non ingannano, a cominciare dalla superficie della carta, la cornice e l’esposizione in dittico o in trittico.

La pittura di Elio Tisi confonde le acque, gioca – quella stessa che, per altri versi si attiene ad uno spogliamento estremo – su incertezze tecniche (chi guarda si chiede innanzi tutto : « come è fatto ? ») e confida con successo sul paradosso di evocare l’universo dell’alta tecnologia, del cyberspazio e delle immagini di sintesi, con metodi artigianali tra il bricolage ed i segreti di bottega. O, come un lontano allievo di Giotto che si diverte ad invertire il mondo, s’incapriccia di lentezza per cogliere l’essenza della nostra era a tutta velocità. Ironia dissimulata nella serenità. C’è ancora tempo per nutrire sentimenti ? In quanto alle emozioni forti (primordiali), cosa assomiglia di più al loro impatto – al loro grido, ai loro impeti, al loro aspetto – di un corpo separato dal divenire spazio-temporale e privato di parola ? Improvviso comincia a somigliare a sempre. « Il saggio, come l’idiota, esprime poco », scriveva Albert Camus.

All’ambiguità genetica delle immagini, legata alla loro fattura, fa da eco l’equivocità del senso, che in ogni caso, il pittore si vieta di imporre. Parla appena di « narrazione minima ». In effetti, a dir poco, la storia è scarna. Sembrerebbe anche che si sia fermata quando stava per iniziare, come un uomo svuotato di sé che sta per alzarsi e si risiede immediatamente perché nel frattempo lo scopo è svanito. Chi è quella donna ? Chi è quell’uomo ? Per cominciare constatiamo : sono privi di indumenti (esprimiamo la cosa in questi termini per significare che Tisi non ha assolutamente fatto dei « nudi ») e, in piedi o seduti, colti in cio’ che sarebbe eccessivo definire un atteggiamento, sono soli. Una pittura non contiene, ogni volta, che una monade umana. Che fluttua, sospesa, in un ambiente non identificabile. Né vicini né lontani consentono di uscire dalla neutralità : il corpo, solido, apparentemente, puo’ essere immerso in un liquido omogeneo o evolvere in aria. Cio’ nondimeno il personaggio non è né un tipo, né un’allegoria. E’ un essere singolare fotografato dall’artista e il cui corpo presenta segni particolari. Singolarità qualunque che (se non sbaglio tranne in pochissime eccezioni) ci rifiuta lo sguardo. La testa – e sulla testa la capigliatura – è trattata in modo diverso rispetto al corpo. Piccola riverenza a Andy Warhol ? Questi personaggi sono dunque individui sessuati, ma che non possiamo identificare oltre, in quanto non hanno, a tradirli, né abiti, né sguardo (né espressione), né comportamento descrivibile, né nulla intorno (vivo o oggettivo)… C’è qualcuno. Come in attesa. E l’attesa rischia di durare. Il tempo si è fermato in un corpo umano.

Lo spazio, invece, è accanto : è oggetto di un trattamento a parte. L’idea che governa questa serie riposa sulla disgiunzione – poi sull’articolazione in polittico – del personaggio e dello scenario. Lungi dal collocare le sue figure su sfondi architettonici, il pittore confronta individui senza luogo a spazi deserti di cui sappiamo pero’ che, come per i personaggi, rinviano ad una realtà fotografata (nella fattispecie il luogo topico di Marsiglia). Nell’uno e nell’altro caso, Tisi spinge la logica talmente al limite che la logica si inverte : le figure aboliscono lo spazio, negano ogni avviluppo di circostanza ed è cosi che « saltano » in primo piano, in un mondo intermedio in bilico tra allucinazione e iperrealtà (lo spettatore che le perde di vista un istante è tentato di voltarsi per verificare che non si siano mosse) ; i luoghi urbani, perfettamente vuoti, simboleggiano contraddittoriamente una prospettiva assoluta. Penso a La Città Ideale (a lungo attribuita a Piero Della Francesca) della Galleria delle Marche e a quelle che furono chiamate le « prospettive urbinate » (poco prima del 1500), evocate dalla letteratura specializzata sia come architetture urbane, sia come scenari da teatro. Mi pare che le prospettive di Elio Tisi, proprio per via della loro indeterminatezza, recuperino e raggiungano quella dimensione. Tutte insieme costringono a sollevare il quesito, vagamente inquietante : « Ma in quale mondo viviamo ? ».

Un artista non svela messaggi. L’idea ardita di separare spazio e figura non potrebbe dar luogo ad una traduzione astratta, allegorica, come se il pittore avesse voluto significare la visione di un universo smembrato. Che questo iato, che costituisce l’intrinseca tensione del dispositivo pittorico, sia frutto di un pensiero, non v’è alcun dubbio. Di un pensiero plastico. Dipingere, come scrivere (incidere), per lungo tempo ha significato inscrivere / circoscrivere. Comportamento rassicurante, dato che, reale o raffigurato, il mondo è il mondo.

Ora ci troviamo di fronte ad un gesto pittorico che, sia per la fattura (che sopprime la delineazione e la modellatura) sia per la presentazione (il politico che mostra, disgiunti, figure e luoghi) sovverte, zitto zitto, la tradizione e trova modo di rendere omaggio a Giotto, al Quattrocento, a Giorgio De chirico, pur dando un tributo all’epoca contemporanea di cui sono intrise le atmosfere. Tisi vuole dipingere e raffigurare; sa anche che la rappresentazione del visibile circoscrivibile (« ufficio del pittore » da e dopo il Della Pittura di Alberti) presupponeva un soggetto sicuro di sé e un mondo di forme stabili. Le figure delocalizzate ed i luoghi virtuali dipinti dall’artista derivano quindi da considerazioni artistiche che non è immaginabile possano prescindere dagli interrogativi molteplici e sospesi degli uomini d’oggi.

Michel Guérin
Filosofo

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